Sul palco della dannazione
«Servono occhi grandi per guardarsi dentro!», mi aveva detto un giorno, e io le avevo creduto, mi ero armata di occhi grandi e assieme ai suoi sedici anni mi ero guardata dentro, ma ciò che entrambe avevamo visto si era trasformato presto in un rimorso eterno.
«Finirai per consumarlo quel braccialetto se continui a torturarlo in quel modo. Qualcosa non va, tesoro?»
«Porca vacca, mamma! Mi hai fatto prendere un colpo. Quante volte ti ho detto di bussare prima di entrare?»
«Lo so, lo so, devo bussare, devo farmi gli affari miei, devo smetterla di starti col fiato sul collo, devo rassegnarmi all’evidenza che sei cresciuto, devo un sacco di cose ma che ci posso fare se quand’eri piccolo era tutto più semplice?»
«Ora non ricominciare per favore».
E io non avevo ricominciato. Me n’ero andata quasi strisciando, senza neanche troppa insistenza, dopo aver rimediato un misero bacio sulla guancia e un incantevole sorriso che tengo ancora aggrappato al petto. Perché Luca era fatto così. Un attimo prima mi odiava e mi scaraventava addosso tutte le sue incertezze, le sue adolescenziali frustrazioni, e quello dopo mi amava, in silenzio ma mi amava.